La lapide
(…Tratto dal libro di Salvatore Nicolosi ‘La guerra a Catania’)
Un episodio che produsse molta commozione fu quello che stroncò la vita di un medico, di un infermiere, di un bimbo e della madre.
La signora Cora Battiati, presidente del comitato femminile della CRI, ha precisa memoria di quell’episodio terribile. Così lo racconta:
Pochi minuti dopo che era cominciato l’allarme mi aveva chiamato il prefetto. Aveva appena avuto notizie che su Catania stava dirigendosi una nuvola immensa di aerei. Le previsioni erano allarmanti. Il presidente, che era il duca Salvatore Trigona di Misterbianco, in quel momento non c’era. C’ero soltanto io. Il prefetto si inquietò, sapendo che noi eravamo ancora lì. ‘Andate subito al rifugio’, mi intimò. Già le prime bombe erano cadute. Io dicevo che avevo ancora qualcosa da sbrigare. Si arrabbiò davvero: ‘ho detto subito. È un ordine’. E poiché le cose che io avevo da fare non erano per nulla impellenti, accettai l’ordine. Mi mandò una macchina con autista, perché mi portasse in via androne, nella grande casa dei Maiorana. Là eravamo accampati in molti e c’ero anch’io; i miei invece erano sfollati nella nostra villa di Viagrande. Il mio ufficio era esattamente sopra il pronto soccorso. Scesi, trovai il dottore Vitale che medicava il bambino ferito. Gli dissi di correre al rifugio, che era sotterraneo, scavato nella lava, e aveva un tetto rinforzato col cemento armato. ‘Vengo subito’ disse il dottore, ‘solo il tempo di finire questa medicazione’. Io corsi sulla via e montai sulla vettura, che frattanto era arrivata e che partì di carriera verso via Androne.
Era quasi arrivata al viale XX Settembre quando sentii lontano, alle spalle, un sibilo e un’esplosione. Non potevo vedere, ma ebbi come un presentimento. Arrivai a casa Maiorana, vi restai un po’, non più di un quarto d’ora. Quando l’allarme finì, con la stessa vettura tornai in via Ventimiglia. La bomba aveva centrato proprio il mio ufficio e il pronto soccorso. Tutto distrutto. Il sotterraneo non era stato toccato e perciò quelli che ci si erano rifugiati si salvarono’.
Quando il medico, fu estratto vivo, ma in condizioni disperate, dalla montagna di pietre e calcinacci. Alla moglie sfollata con la piccola figlia a Sant’Agata Li Battiati nel villino dei Consoli, la notizia fu portata quella sera verso le 20, dal fratello Stefano, un ufficiale che arrivò con un’ambulanza. Il dottore morì pochi giorni dopo nell’ospedale in cui lo avevano ricoverato.
L’infermiere invece fu tirato via già cadavere. Morirono anche, nel crollo, il bambino e la madre: in capo a un quarto d’ora quello sventurato fanciullo era stato colpito due volte.
La sede della CRI, vulnerata a morte, fu trasferita subito nell’edificio dell’ospizio dei ciechi, in via Etnea. In seguito passò a villa Manganelli, dove frattanto si era insediato il comando inglese; poi a casa Scammacca; di nuovo nella restaurata sede di via Ventimiglia; infine, nel 1960, quando da poco erano cominciate le demolizioni per il risanamento del quartiere di San Berillo, in via Cavaliere.
Quando la sede era tornata in via Ventimiglia, vi era stata collocata una lapide al ricordo di quei due morti:
“Qui – l’otto luglio 1943 – fulgido esempio di eroico altruismo – caddero vittima del dovere – sotto furioso bombardamento nemico – il dottor Stefano Vitale – e l’infermiere Salvatore Ruggiero – mentre con consapevole – sereno sprezzo del pericolo – prestavano amorevole opera di soccorso – Il Comitato Prov. Della C.R.I. – a perenne memoria”.
Catania, 8 luglio 2023